Falsità del direttore de “Il Fatto quotidiano” sulla guerra in Ucraina

Da quando l’armata neonazista di Putin ha invaso l’Ucraina “Il Fatto Quotidiano” diretto da Marco Travaglio è diventato sempre più ricettacolo e organo di riferimento dei filo putiniani italiani, sia attraverso gli editoriali del suo direttore e di altri membri della redazione, sia ospitando in maniera più o meno regolare gli interventi di alcuni tra gli esponenti più noti di questa corrente, come l’ex generale Fabio Mini e il professore dell’Università Luiss della Confindustria, Alessandro Orsini, o come altri che con le loro posizioni ambigue portano comunque acqua al mulino del nuovo zar.

Un riflesso di questa sempre più marcata impronta filo putiniana assunta da “ Il Fatto” si è visto con la polemica scoppiata al suo interno con il cofondatore del quotidiano, Furio Colombo, che dopo aver sollevato il problema dell’incompatibilità con Orsini ha finito per dimettersi dalla redazione al rifiuto di Travaglio di tagliare il rapporto col professore. Intendiamoci, quella di Colombo è la polemica di un atlantista e filo sionista di ferro, tant’è che a lui, oltre che allo stesso Travaglio, si deve la linea saldamente pro Israele e antipalestinese tenuta da sempre da questo giornale. E non a caso è andato subito a rifugiarsi sotto l’ala del più atlantista dei quotidiani italiani, “La Repubblica” diretta dal suo compare filo sionista Maurizio Molinari. Ma ciò non toglie che ha sollevato una giusta critica denunciando con questa clamorosa spaccatura tra i due cofondatori de “Il Fatto” il problema oggettivo della sua trasformazione sempre più marcata in un megafono di Putin.

Ambiguità ed equidistanza sull’aggressione neonazista

Pur riconoscendo formalmente che la Russia è il paese aggressore e l’Ucraina il paese aggredito, questa trasformazione si esprime essenzialmente in tre modi, interconnessi tra loro: giustificando in qualche modo l’invasione russa come una conseguenza della politica ostile della Nato, del riarmo dell’Ucraina e del suo rifiuto di trattare sull’autonomia del Donbass e sulla Crimea; tenendo una posizione di ambigua equidistanza tra l’aggredito e l’aggressore; sostenendo che non è vero che gli ucraini stanno validamente resistendo alle preponderanti forze russe, che anzi la Russia sta avanzando nel Donbass e nel Sud dell’Ucraina e che perciò il governo Zelensky deve rassegnarsi alla cessione di suoi territori se vuol far finire la carneficina e le distruzioni.

Nel suo editoriale su “Il Fatto” del 21 maggio dal titolo “Alla buon’ora”, per esempio, Travaglio contesta la tesi che Putin puntasse a prendersi l’Ucraina con una guerra lampo di tre giorni e accredita quella che, come “tutti i veri esperti (come Fabio Mini) confermavano”, di fronte ad un’Ucraina “armata fino ai denti da otto anni” e in procinto di entrare nella Nato, Putin “come tutti gli autocrati nazionalisti e guerrafondai” volesse solo “riprendersi il Donbass (peraltro felicissimo (sic) di essere ripreso dopo otto anni di massacri e angherie) più il Sud”. Invece “i custodi del Bene e della Verità”, come lui chiama ironicamente l’Occidente e i suoi bracci politici e militari, “dovevano trasformare una guerra locale per il Donbass – secondo tempo della guerra civile ucraina – in una guerra mondiale per procura fra Russia e Nato (cioè Usa) sulla pelle degli ucraini”.

Per Travaglio non esiste cioè nessun disegno imperialista di Putin di annessione dell’Ucraina alla “Grande Russia” neozarista da lui apertamente rivendicata in più occasioni, e in particolare alla vigilia dell’invasione. E la sua guerra sarebbe rimasta confinata nell’ambito di una disputa territoriale locale se l’Occidente non si fosse intromesso e, “per farlo, imbottire vieppiù di armi l’ucraina. E, per farlo, convincere noi europei che i veri aggrediti eravamo noi, perché ’Putin odia le democrazie’ (quelle che hanno fatto guerre ancor più feroci delle sue e quella di Kiev, molto simile alla sua visto che bandisce i partiti di opposizione, ne arresta il leader, unifica le tv a un solo canale governativo, ghettizza la minoranza russofona). Pazienza se le nostre armi non difendono donne e bambini, ma ne uccidono di più, visto che non finiscono ai civili, ma a professionisti senza scrupoli né controllo: brigate naziste, istruttori occidentali, foreign fighter, mercenari, trafficanti d’armi. Però – garantivano i custodi della Verità – grazie alle armi la resistenza ucraina sta vincendo e presto ricaccerà l’”armata rotta” oltre confine”.

Accreditato il pretesto putiniano della “denazificazione”

Qui abbiamo un esempio lampante di due delle tre tesi sostenute da Travaglio e il suo giornale, che sono la responsabilità limitata di Putin nello scatenamento della guerra (da lui declassato ad “autocrate nazionalista”, come se non capeggiasse una superpotenza imperialista nucleare di livello mondiale, sia pure declassata economicamente), e l’equidistanza tra Russia e Ucraina, con l’eroica resistenza di quest’ultima snaturata con un cumulo di falsità, quasi fosse in mano solo a nazisti, mercenari, trafficanti darmi ecc.

Le stesse tesi che tendono a giustificare Putin e attribuire grosse responsabilità anche al governo ucraino sono sostenute con dovizia di considerazioni “tecniche” da esperto militare da Fabio Mini. A titolo di esempio, in un articolo su “Il Fatto” del 23 aprile, per spiegare perché sulle cartine del conflitto non si mostrano mai le forze ucraine, si dà seriamente credito ai due pretesti propagandistici di Putin per giustificare l’invasione, la “demilitarizzazione” e la “denazificazione” dell’Ucraina.

“L’annunciata demilitarizzazione russa – scrive infatti l’ex generale che è stato anche comandante delle forze Nato in Kosovo – si riferiva in particolare a tutte le forze armate regolari e irregolari, a tutte le armi fornite negli otto anni precedenti dagli americani e dalla Nato e significava render conto del fiume di denaro ricevuto dall’Ucraina a partire dal 1994. La denazificazione si riferiva a tutte le forze e le istituzioni controllate dagli estremisti ultranazionalisti e neonazisti, ai contractor pagati dal Pentagono e dagli oligarchi”. “Il presidente Zelensky non poteva e non può permettersi di mostrare in una mappa qualsiasi nessuna di tali forze”, è la tesi conclusiva di Mini, perché altrimenti “la carta geografica dell’Ucraina sarebbe disseminata di croci uncinate e simboli simili”.

“Territori in cambio di pace”?

Quanto alla terza tesi, quella che Zelensky dovrebbe accettare cessioni di territori per far finire la guerra, Travaglio l’aveva già affacciata con un editoriale del 24 aprile, alla vigilia dell’inutile viaggio del segretario dell’Onu a Mosca e Kiev, in cui sosteneva che “l’alternativa (all’estensione della guerra fino al confronto nucleare, ndr) è un compromesso sui territori già persi e sulla neutralità dell’Ucraina, col ritiro delle sanzioni in cambio del ritiro dei russi”.

Oggi questa stessa tesi Travaglio la teorizza ormai apertamente, come ha fatto in un editoriale del 25 maggio in cui difende M5S, Lega e Belusconi dall’accusa di essere putiniani “soltanto perché vogliono frenare il riarmo di un’Ucraina già armata fino ai denti per risparmiarle la distruzione e lo sterminio totale con un negoziato di pace fondato – pensate un po’ – su un compromesso territoriale, come tutti i negoziati di pace degli ultimi cinque o seimila anni”. E si appoggia all’intervento dell’ex segretario di Stato Kissinger a Davos, sottoscrivendolo in toto, per sostenere che l’Occidente non deve “cercare la sconfitta della Russia” e l’Ucraina deve “rinunciare a qualche territorio (quelli che non può più recuperare: Donbass e Crimea) in cambio della pace”.

“Ora, dopo quasi 100 giorni e migliaia di morti – insiste Travaglio in un editoriale del 31 maggio – la dura legge dei fatti riporta tutti alla realtà. Zelensky – finalmente libero dal ricatto nazista del battaglione Azov – ammette: ’Non credo che potremo riprendere l’intero nostro territorio con l’esercito. Se decidessimo di farlo, perderemmo centinaia di migliaia di vite. Meglio la diplomazia’. Cioè mette sul tavolo della trattativa non solo la Crimea (occupata senza proteste dai russi nel 2014), ma anche il Donbass (ormai in mano russa, come la striscia Sud sul mare d’Azov). E accetta il principio ’territori in cambio di pace’ che, se fosse stato ben consigliato (cioè non consigliato da Biden e Johnson) e l’avesse accettato prima, gli e ci avrebbe forse risparmiato la guerra (o almeno evitato di fornire alibi alle fregole belliciste di Putin); e ora lo costringerebbe a sacrifici ben più lievi”.

Si tratta dello stesso chiodo – la resa dell’Ucraina all’annessione dei territori occupati dai Russi – su cui batte fin dall’inizio della guerra Alessandro Orsini, che su “Il Fatto” del 24 aprile scriveva: “Per fare la pace, occorre offrire qualcosa al nemico, soprattutto se il nemico è in posizione dominante. Ecco il problema: nessuno ha mai capito che cosa l’unione europea sia disposta a dare a Putin per promuovere quantomeno una distensione. I governanti europei, Draghi incluso, si limitano a dire di avere telefonato a Putin, ma non chiariscono che cosa gli abbiano offerto nella conversazione. Sembra che Putin sia disposto a fare la pace in cambio del riconoscimento dell’indipendenza del Donbass e della Crimea, mentre l’Europa propone che Putin si ritiri dall’ucraina senza avere niente a che pretendere”.

Insomma costoro propongono ricette e soluzioni, parlano di pace e di trattative ma il tutto sulla testa dell’unico soggetto che deve necessariamente avere voce in capitolo nella trattativa coll’aggressore neozarista russo, e cioè l’Ucraina, il suo popolo e il suo governo.

Non si tratta solo di territori

Tra l’altro entrambi sostengono la stessa falsa e riduttiva tesi di un Draghi “ossequiente cameriere di Biden” (Travaglio), o addirittura “il Lukashenko di Biden” (Orsini), mentre invece il banchiere massone, senza per questo rinunciare al suo atlantismo di ferro, porta avanti anche gli interessi dell’imperialismo italiano e di quello europeo. Tant’è vero che attualmente sta facendo asse più con Macron e Scholz che con Biden sul tenere una linea dura con Putin ma senza escludere l’interlocuzione con lui; e resta fermo sulla linea, espressa anche davanti al presidente Usa, che “dev’essere l’Ucraina a decidere quale pace accettare”, concetto che ha ribadito anche al Consiglio europeo straordinario del 30 maggio.

Non a caso è proprio questo concetto che “Il Fatto” cerca di confutare capendo che si tratta del maggior ostacolo ad un accordo anche capitolazionista con Putin purché ponga fine alla guerra, e lo affida alla penna sottile della filosofa Donatella Di Cesare, che in un articolo del 27 maggio, criticando i concetti di “sovranità” e “integrità territoriale”, a proposito della suddetta posizione di Draghi, scrive: “Si cela qui un modello di sovranità da tempo messo in discussione. Come è venuta meno la libertà astratta di un soggetto che si presume autonomo, perché si è liberi solo tramite gli altri e con gli altri, così è inconcepibile nello scenario attuale la sovranità di una nazione svincolata dalle altre. La coabitazione con i popoli mitiga e limita ogni sovranità – viene da qui l’idea stessa dell’Europa (a meno di non volerla cancellare). Perciò non può essere solo l’Ucraina a decidere quale pace accettare, dato che ne va del futuro di tutti i popoli europei, per non parlare dei più deboli e dei più esposti negli altri continenti”.

Il suo è però un ragionamento che può valere in astratto, ma che nella situazione concreta non tiene conto del fattore umano, che è quello fondamentale, e cioè della sorte della popolazione ucraina dei territori occupati e che dovrebbero essere ceduti agli invasori. Non si tratta solo di cambiare delle linee di confine su una cartina geografica, ma di decidere del futuro di milioni di persone. Lo ha ricordato Zelensky in un messaggio alla nazione dopo il forum di Davos, parlando di certe posizioni che propongono “territori in cambio di pace”, come quelle di Kissinger e quelle comparse anche sul “New York Times”: “Dietro a tutte queste speculazioni geopolitiche di chi consiglia all’Ucraina di cedere qualcosa alla Russia, i ’grandi geopolitici’ sono sempre restii a vedere la gente comune. Gli ucraini comuni. Milioni di persone che vivono realmente nel territorio che propongono di scambiare con l’illusione della pace. Bisogna sempre vedere le persone. E ricordare che i valori non sono solo una parola”.

Noi marxisti-leninisti ci siamo schierati immediatamente con la Resistenza ucraina e contro l’invasione neonazista russa. Per l’Ucraina libera, indipendente, sovrana e integrale.